Il vecchio abuso resta in piedi se non c’è più l’interesse pubblico ad abbatterlo
Stop alle ruspe. Non devono essere abbattute le piscine interrate e le altre vecchie opere abusive del centro fitness se il Comune non spiega perché persista l’interesse pubblico alla demolizione benché sia passato tanto tempo dalla realizzazione dei manufatti; nel frattempo si è infatti formato nel privato un affidamento sulla situazione. È quanto emerge dalla sentenza 2307/16, pubblicata dalla prima sezione del Tar Lombardia — scrive Italia Oggi — che si pone in contrasto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa. Accolto il ricorso del centro sportivo: le opere che l’amministrazione vuol far rimuovere risalgono a quasi cinquant’anni or sono e sorgono fuori dal centro urbano, in una zona rurale, dove all’epoca non serviva la licenza edilizia. Il tutto mentre gli strumenti urbanistici che risultano vigenti al momento dell’ordine di demolizione consentono la destinazione sportiva nell’area. Secondo l’indirizzo interpretativo prevalente fra i giudici amministrativi il semplice decorso del tempo non può sanare l’opera abusiva: l’ordine di demolizione del manufatto contro legge, spiegano, resta comunque un atto dovuto. Stavolta però il collegio sostiene che non si può ordinare di abbattere piscine, spogliatoi e servizi che risalgono agli anni Sessanta senza motivare la prevalenza dell’interesse pubblico a ripristinare la legalità rispetto al sacrificio imposto al centro sportivo. E ciò perché le difformità rilevate sono di lieve entità e soprattutto in considerazione del tempo che è passato. Senza dimenticare il protrarsi dell’inerzia da parte dell’amministrazione, che si accorge dagli abusi a mezzo secolo dalla realizzazione. Il Comune paga le spese di giudizio al centro sportivo, conclude Italia Oggi.
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